Gli immigrati ci rubano veramente il lavoro?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo studiare l’impatto che l’immigrazione ha sul mercato del lavoro del paese di destinazione. Vediamo cosa ci dicono gli studi.

 Gli economisti negli ultimi decenni hanno dedicato molto tempo a cercare di capire se l’aumento della popolazione immigrata portasse con sé delle conseguenze sui salari e sull’occupazione dei nativi (termine che usiamo per definire i non-immigrati). Per capire come la popolazione immigrata possa avere un effetto sul mercato del lavoro dei nativi, dobbiamo però fare una breve introduzione teorica (sarà brevissima!). Dobbiamo astrarre un po’ dalla realtà e immaginarci un’economia molto semplice in cui ci sono solo due tipi di lavoratori: i lavoratori con elevati livelli di istruzione e i lavoratori con bassi livelli di istruzione. Inoltre, dobbiamo anche pensare al lavoro della popolazione immigrata come sostituibile a quello dei nativi: questo concetto puramente economico significa che teoricamente il lavoro di una persona nativa può essere svolto ugualmente da una persona immigrata. La teoria, in un’economia così descritta, ci dice che un aumento del numero di immigrati in maggioranza poco istruiti porta a un aumento del salario medio per tutti, ma con una diminuzione dei salari dei lavoratori nativi che sono in competizione con gli immigrati poco istruiti e un aumento dei salari dei lavoratori nativi più istruiti. Il salario dei lavoratori meno istruiti è diminuito perché la loro offerta di lavoro relativa è aumentata, il salario dei lavoratori più istruiti è aumentato perché la loro offerta di lavoro relativa è diminuita: con l’arrivo degli immigrati è più facile trovare lavoratori poco istruiti, mentre lavoratori più istruiti sono diventati merce più rara!

Un’economia di questo tipo è però troppo semplificata, perché non prende in considerazione alcuni fattori molto importanti che possono interferire con il meccanismo di aggiustamento dei salari appena descritto. Questi fattori risultano però essere molto importanti, in quanto ci permettono di spiegare perché, come vedremo dopo, i dati non mostrano effetti dell’immigrazione sui salari, come invece dice la teoria. Vediamo velocemente quali sono:

i) L’arrivo degli immigrati è accompagnato anche da un aumento dei consumi di prodotti e servizi che a sua volta aumenta la produzione e la domanda di lavoro: gli immigrati devono anche vivere nel paese di destinazione e quindi consumano!

ii) L’arrivo degli immigrati può portare a uno spostamento dei nativi verso altre occupazioni con la conseguenza che nativi e immigrati diventino, nella stessa economia, fattori di produzione complementari (il lavoro di un gruppo supporta ed è necessario per il lavoro del gruppo complementare): i nativi si spostano verso lavori che richiedono più interazione con il pubblico perché gli immigrati, non sapendo l’italiano, non possono svolgere quel tipo di lavoro.

iii) Gli immigrati decidono di lavorare in occupazioni che spesso i nativi non vogliono più fare: vi viene in mente qualche esempio?

iv) I nativi si spostano dalle zone in cui arrivano gli immigrati in altre zone del paese: dalla campagna alla città?

Dal punto di vista teorico, l’effetto dell’immigrazione sul mercato del lavoro è chiaro, quindi è ora di passare ai dati! Questo esercizio è molto più complicato e per decenni gli economisti hanno cercato di misurare se l’aumento della popolazione immigrata si porta con sé un costo per la popolazione nativa. Il dibattito nasce anche dal fatto che per misurare questo effetto bisogna trovare una situazione che ci permetta di simulare cosa sarebbe successo in quella regione o paese se non fossero arrivati gli immigrati. Lo si può fare solo utilizzando tecniche di analisi di dati molto sofisticate (più noiose da raccontare e meno da applicare) che però hanno permesso agli economisti di raggiungere conclusioni che sono molto simili. C’è infatti abbastanza consenso sul fatto che l’immigrazione ha effetti quasi nulli sui salari dei nativi nel paese di destinazione, e, nei casi in cui l’effetto esista, l’entità dello stesso è ridotta. A titolo di esempio, uno studio sul Regno Unito (Dustmann et al., 2013), mostra che gli immigrati sono concentrati nella parte bassa della distribuzione dei salari e hanno, quindi, probabilità maggiori rispetto ai nativi di avere salari minori. Partendo da questo risultato, gli studiosi mostrano che gli effetti dell’immigrazione sui nativi si concentrano esattamente sui salari dei nativi presenti nella parte bassa della distribuzione, diminuendoli. Al contrario, trovano effetti positivi per i nativi con salari più alti. Lo studio inoltre mostra in modo molto innovativo che esiste un fenomeno di skill downgrading: gli immigrati nel Regno Unito hanno in media livelli di istruzione più alti rispetto ai nativi, ma lavorano in occupazioni meno qualificate rispetto al loro livello di istruzione. Ritornando sul modello utilizzato prima, gli studiosi avrebbero dovuto trovare degli effetti negativi sui salari dei lavoratori più qualificati poiché nel periodo studiato l’immigrazione verso il Regno Unito era formata da lavoratori più qualificati, effetti però non trovati. Perché? Gli immigrati non vedono riconosciute le loro competenze perché in alcuni casi non parlano l’inglese oppure perché il loro diploma di laurea non è riconosciuto nel paese di destinazione e quindi sono obbligati a lavorare in occupazioni al di sotto delle loro competenze (skill downgrade). Questo significa che gli immigrati, seppure qualificati, non competeranno mai con i nativi più qualificati ma con quelli meno qualificati. Parallelamente, i nativi che si trovano nella parte più alta della distribuzione, beneficeranno dell’immigrazione con effetti positivi sui salari.

Gli studiosi hanno anche analizzato gli effetti dell’aumento dell’immigrazione su altre variabili di interesse legate al mercato del lavoro, come la probabilità di trovare un lavoro e il tipo di occupazione. Per esempio, negli Stati Uniti alcuni studiosi hanno cercato di capire se l’aumento di infermieri immigrati qualificati potesse in qualche modo avere un effetto sulla probabilità di trovare lavoro per gli infermieri americani. I risultati mostrano che c’è stato in questo caso un effetto di spostamento (anche chiamato displacement) per cui i nativi si sono spostati in altre occupazioni: questi ultimi infatti continuano a lavorare ma in altri settori e altre occupazioni, come ad esempio l’istruzione. Gli studiosi non hanno invece trovato alcun effetto sulla qualità del servizio che è rimasta invariata, anzi è migliorata in alcune zone del paese più disagiate, perché l’immigrazione di infermieri ha portato a un miglioramento delle opportunità di accesso ai servizi sanitari in queste zone più periferiche, con effetti finali positivi sulla redistribuzione delle spese sanitarie.

Una parte della letteratura ha invece studiato gli effetti dell’immigrazione di individui con un alto livello di istruzione sull’economia del paese di destinazione. Sempre negli Stati Uniti, negli ultimi anni c’è stato un aumento del numero di immigrati STEM (science, technology, engineering and mathematics), quindi nelle discipline e occupazioni tecnico-scientifiche: negli ultimi anni sono passati dal 6% al 30% della popolazione di immigrati americani. È stato stimato che questo aumento ha portato a un miglioramento della capacità innovativa del paese, cioè la capacità di creare brevetti o fare impresa.

Per concludere, sarebbe utile tornare indietro nel tempo e notare che il fenomeno migratorio esiste da sempre, si pensi per esempio all’emigrazione di massa di cittadini europei all’inizio del ventesimo secolo. Quanti italiani sono immigrati verso il Nord e il Sud America! Grazie alla digitalizzazione dei registri storici della popolazione è stato possibile studiare l’integrazione ma soprattutto l’effetto che l’immigrazione di massa ha avuto sull’economia americana tra il 1850 e il 1915. Gli studi mostrano due fatti molto interessanti: prima di tutto rispetto a chi non partiva, già ai tempi, la persona che migrava negli Stati Uniti era selezionato più negativamente in termini di competenze; in secondo luogo, il processo di integrazione era molto più rapido essendo un paese in forte crescita economica in quel periodo (Abramitzky et al 2012). C’è anche da dire che il dibattito politico in tema di integrazione degli immigrati era molto simile a quello di adesso!

Bottom line

  • L’aumento dell’immigrazione nel paese di destinazione non porta ad effetti sul salario e quando gli studiosi hanno trovato degli effetti, l’entità degli stessi è sempre ridotta.
  • Esistono invece effetti sull’occupazione, per esempio l’aumento dell’immigrazione di infermieri ha portato i nativi a spostarsi in altri settori, ma ha permesso il miglioramento delle opportunità di accesso ai servizi
  • L’immigrazione altamente qualificata porta ad un miglioramento delle capacità innovative di un paese
  • Il fenomeno immigratorio è sempre stato molto dibattuto anche storicamente, durante il periodo dell’immigrazioni di massa, anche se in quel periodo la facilità di integrazione degli immigrati erano superiori in paesi in forte crescita economica come gli Stati Uniti.

Referenze

Referenze

Abramitzky, Ran, Leah Platt Boustan, and Katherine Eriksson. 2012. “Europe’s Tired, Poor, Huddled Masses: Self-Selection and Economic Outcomes in the Age of Mass Migration.” American Economic Review, 102 (5): 1832-56.

Dustmann, Christian, Frattini, Tommaso e Preston, Ian “The Effect of Immigration along the Distribution of Wages”, Review of Economic Studies, 2013, vol. 80, issue 1, 145-173

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